Articolo aggiornato il 16 Febbraio 2023
Secondo un rapporto del Politecnico di Milano, lo Smart Working rimarrà in 9 grandi aziende su 10 e riguarderà 4,4 milioni di lavoratori, diventando una normalità lavorativa.
Progetti di lavoro agile strutturati o informali sono ora presenti nell’81% delle grandi imprese, contro il 65% del 2020.
Vediamo quali sono i benefici per la vita privata e per l’ambiente, ma anche chi riguardano le problematiche di “tecnostress” e “overworking” causate dallo smart working.
Normalità lavorativa post-Covid: qualche dato
Se prima della pandemia lo smart working riguardava neanche 600mila lavoratori, il numero è esploso fino a sfondare quota 6,5 milioni durante i mesi più duri del lockdown, per scendere a 5,4 milioni a inizio anno.
Ora il numero di lavoratori in smart working è più di 4 milioni ed è in continuo aumento.
Aumento dello smart working: nuovi modelli di lavoro
Le organizzazioni hanno calcolato, per l’imminente futuro, un aumento degli smart worker rispetto ai numeri registrati a settembre 2021: si prevede saranno 4,38 milioni i lavoratori che opereranno almeno in parte da remoto (+8%), di cui:
- 2,03 milioni nelle grandi imprese,
- 700mila delle Pmi,
- 970mila nelle microimprese e
- 80mila nella Pa.
Obiettivo del governo è quello di arrivare a un protocollo condiviso che riguardi l’orario di lavoro, e in particolare i limiti al periodo di disconnessione, la parità di trattamento economico (già sancita per altro dalla legge 81/2017), il luogo dove si potrà erogare la prestazione (non necessariamente da casa), la sicurezza del lavoratore, la protezione dei dati e la dotazione informatica che dovrà essere assegnata al dipendente.
Dovrà inoltre essere garantita l’alternanza tra lavoro a presenza e a distanza, anche per evitare il rischio di discriminazione delle donne.
Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working, commentando i dati ha posto una importante distinzione:
“Le grandi imprese stanno sperimentando nuovi modelli di lavoro, con la ricerca di nuovi equilibri fra presenza e distanza capaci di cogliere i benefici potenziali di entrambe le modalità di lavoro. In molte organizzazioni, soprattutto Pmi e Pa, invece, si sta tornando prevalentemente al lavoro in presenza a causa della mancanza di cultura basata sul raggiungimento dei risultati. Un arretramento che si scontra con le aspettative dei lavoratori e gli obiettivi di digitalizzazione, sostenibilità e inclusività del nostro Paese”.
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Benefici per la vita privata ma rischio overworking
Se è vero che la possibilità di lavorare da remoto ha permesso alle persone di gestire meglio gli impegni extra-lavorativi, è vero anche che il contesto pandemico ha causato non poche difficoltà soprattutto a chi nell’ambiente domestico si è trovato a gestire contemporaneamente il lavoro e i carichi familiari.
In particolare, la difficoltà nel separare il tempo da dedicare al lavoro e alle attività personali è stata avvertita dal 35% degli smart worker e la difficoltà a trovare un luogo adatto per lavorare dal 22%.
Altri aspetti da tenere d’occhio sono quelli che riguardano il coinvolgimento dei lavoratori: il 38% si sente più efficiente nello svolgimento della propria mansione, secondo il 32% è cresciuta la fiducia fra manager e collaboratori e per il 31% la comunicazione fra colleghi.
Il tecnostress (cioè gli impatti negativi a livello comportamentale o psicologico causati dall’uso delle tecnologie) ha interessato un lavoratore su quattro, in misura maggiore smart worker (28% contro il 22% degli altri dipendenti), donne (29% contro il 22% dei colleghi) e responsabili (27% contro il 23% dei collaboratori).
Nel complesso l’overworking (ovvero dedicare un’elevata quantità di tempo alle attività lavorative trascurando momenti di riposo) ha coinvolto il 13% dei lavoratori e in misura maggiore gli smart worker degli altri lavoratori (17% contro 9%), le donne degli uomini (19% contro 11%) e i manager rispetto ai collaboratori (19% contro 9%).
Impatto su inclusione e ambiente: risparmio da 1.450 euro sui trasporti
Secondo le grandi imprese, l’applicazione dello smart working su larga scala favorisce l’inclusione delle persone: in primo luogo nel supporto alla genitorialità (87%), ma anche per quel che riguarda l’inclusione delle persone che lavorano lontano dalla sede (87%) e per chi si prende cura di soggetti anziani o disabili (83%).
Stimando una media di due giorri e mezzo di lavoro da casa, l’Osservatorio calcola quali risparmi di tempo e risorse per gli spostamenti si possono generare: 123 ore l’anno e 1.450 euro in meno per ogni lavoratore che usa l’automobile per recarsi in ufficio.
In termini di sostenibilità ambientale, infine, si può stimare che l’applicazione dello Smart Working ai livelli previsti dopo la pandemia comporterà minori emissioni per circa 1,8 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno, pari all’anidride carbonica che potrebbero assorbire 51 milioni di alberi (un’area dieci volte Milano, oppure quel che assorbirebbero 500 Central Park).
“I benefici sociali ed ambientali dalla diffusione dello Smart Working ai livelli oggi previsti sono troppo rilevanti per non essere considerati nelle scelte politiche – ha aggiunto Mariano Corso.
E occorre sottolineare che sono benefici che potrebbero quasi raddoppiare se si estendesse l’applicazione dello Smart Working ai livelli che i lavoratori desiderano e che la pandemia ha dimostrato essere già possibili con le tecnologie attuali.”
Una situazione in continuo cambiamento che riguarda milioni di lavoratori chiamati a confrontarsi e gestire il proprio ambito professionale.
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Fonte: La Repubblica del 3.11.2021